Da sola con le capre cashmere

Qui, a 1800 metri di altitudine, in mezzo alle montagne della Valle d'Aosta, Itati ha scelto di iniziare la sua avventura.E il cognome? «Solo Itati, significa “piccola pietra”, credo non ce ne siano molte in giro –scherza questa giovane donna dal sorriso pieno e accogliente-: è un nome argentino, dove un ramo della mia parentela là radicata porta questo nome».

L’allevamento

Lei, che oggi ha 44 anni, nel 2008 ha lasciato un posto sicuro presso un laboratorio di prodotti cosmetici per qualcosa di incerto e di decisamente poco femminile: «Ho un allevamento di capre cachemire - racconta, sfogliando i suoi album -: ho iniziato con due ed ora ne ho 130, di cui una ventina nate poche settimane fa. Fanno parte della mia vita: prendermi cura di loro mi completa, mi fa sentire bene. Può sembrare strano, ma quassù ho recuperato una mia identità che era un po’ smarrita. La solitudine non mi spaventa, guardo il cielo azzurro sopra di me e capisco che sono nel posto giusto. Certo, questo panorama d’inverno si trasforma e si copre di bianco. E allora per crearmi un passaggio e arrivare al recinto punto la sveglia anche di notte, ma mi sento un tutt’uno col cosmo, non sento la fatica».

La sua ispirazione

Quanti saranno in Italia ad allevare capre cachemire? Chiediamo a lei, che è esperta: forse una decina. Questa donna, che va a dormire col buio e inizia la sua giornata con la luce dell’alba, all’età di 4 anni non ha chiesto un cane o un gatto ma una capretta da portare a passeggio. Oggi, mentre segue il suo gregge al pascolo con il suo inseparabile maremmano Bessy, spiega a chi la osserva che lei sta dipanando la sua vita, procedendo con calma e in sintonia col tempo  - che sui quei monti ha un altro valore - e con i suoi animali che, quando li chiama, arrivano come amici fidati. E così Itati, che è contro ogni tipo di sfruttamento animale, ha scelto di allevare capre cachemire originarie dell’Himalaya perché non hanno bisogno di stalle e trovano giovamento nell’essere pettinate.

La lavorazione

Il processo unico delle varie fasi di lavorazione, la cura e l’attenzione nel selezionare materiali naturali, unendo talora cachemire e pura seta, portano come risultato capi esclusivi per qualità e disegno. Ogni singolo pezzo prende il nome della capra della cui fibra è stato realizzato.

Itati apre un altro album di foto e parla del rapporto amichevole che ha con le «sue creature»: Cerere, Teti, Telemaco, Niso, Merope, Penelope, Romolo, Remo, Minerva, Icaro, il capobranco Vila, il piccolo Pan –vicino al quale ha dormito a -13 gradi per «viverlo» nel modo più completo- sono alcuni degli esseri che la stanno accompagnando nella sua avventura.

Selezione genetica

L’habitat che Itati ha scelto per loro, unito ad un’attenta selezione genetica, favoriscono un’eccellente qualità della fibra per finezza, lunghezza e quantità.

E, per ottimizzare il procedimento di lavoro, si è costruita un attrezzo per separarla. Infine questa motivata imprenditrice progetta, disegna e crea manufatti utilizzando un’antica tecnica, che consiste nel far compenetrare fra loro le morbide e calde fibre che «sanno di fiaba». E allora è facile vedere, dietro ad ognuna di queste stole, uno dei quadri dipinti da Itati.

Alessandra Dellacà

La Stampa del 19 luglio 2017